Finalmente ha visto la luce il mio nuovo romanzo africano

DOVE GLI ELEFANTI VANNO A MORIRE

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“Lapho khona izindlowu zihamba nazishona”…Là dove gli elefanti vanno a morire.

I leggendari cimiteri degli elefanti sono solo una romantica leggenda? O esistono veramente dei luoghi dove i grigi colossi si recano per l’ultimo pellegrinaggio della loro vita errabonda, quando avvertono che la fine è vicina?

Molti uomini del popolo degli Nguni, degli amaZulu, dei Tsonga, degli Shangane giurano che questi luoghi esistono ed un’affascinante leggenda Ndebele, che mi narrò un tracciatore, afferma che sono sacri ed inviolabili per l’uomo, pena una morte terribile e violenta, perché un elefante-guardiano, l’Umlondolozi, ucciderà chiunque oserà profanarne uno. Molti uomini bianchi li hanno cercati, generalmente invano, per amore dell’avventura o attirati dal fascino del mistero, o, più prosaicamente, per sete di ricchezza, speranzosi di rinvenire mucchi di enormi zanne d’avorio, ma nessuno si é arricchito e molti hanno perso la vita, anche se non necessariamente uccisi da Umlondolozi bensì dalla malaria, dai leoni, dal veleno di un mamba o di un cobra o dalla sete.

La realtà, come spesso accade, sta nel mezzo: se, da un lato, l’idea di un luogo sacro dove i pachidermi si recano presagendo la fine é fantasiosa, dall’altra una base di verità, come in molte altre leggende, o almeno una spiegazione razionale e scientifica, esiste. Anzi, le spiegazioni possono essere molteplici.

Già prima dell’arrivo in massa dei bianchi, gli Arabi commerciavano con le popolazioni dell’interno dell’Africa ed acquistavano, da loro, l’avorio, l’oro bianco la cui richiesta, in Oriente ed in Europa, era insaziabile, come testimoniano alcuni stupendi olifanti, strumenti simili al corno, sontuosamente scolpiti, che sono giunti intatti sino a noi. Le zanne provenivano talvolta da animali morti di morte naturale, che le popolazioni locali rinvenivano in savana o in foresta, altre volte, invece, si trattava di elefanti uccisi con trappole e veleno. Sulle vie carovaniere battute dai commercianti arabi si potevano vedere, quindi, veri e propri ammassi di zanne, una sorta di depositi all’aperto, dove i locali le accumulavano  in attesa degli acquirenti: non é difficile immaginare cosa dovettero pensare i primi europei che si imbatterono in simili mucchi d’avorio e, sull’eco delle numerose leggende locali, molti giurarono che i cimiteri degli elefanti erano realtà.

Nei periodi di siccità, spesso gli elefanti compiono vere migrazioni ed a volte accade che bevano l’acqua di laghi che risulta tossica per l’alto contenuto di alcali o di altre sostanze: questo si verifica soprattutto in Africa orientale, dove tali laghi non sono rari, ma pure le esalazioni vulcaniche possono avvelenare pozze d’acqua, ad esempio in Africa centrale ed anche in altre parti del continente, senza contare i veleni di origine naturale utilizzati talvolta per pescare, come il lattice del tamboti o dell’euforbia. Bevuta l’acqua velenosa, gli animali morivano, a volte vicino al luogo della fatale abbeverata, se si erano fermati, oppure lungo il cammino, spesso a breve distanza l’uno dall’altro.

Altre volte ancora accadeva, e probabilmente ancora accade, che alcuni big tuskers, portatori di grandi zanne e per questo motivo assiduamente cacciati, si rifugino in luoghi inaccessibili, spesso in zone paludose o su isolotti, e finiscano poi per morirvi e, poiché tali luoghi hanno di solito un’estensione limitata, le ossa di diversi esemplari possono giacere vicini: tali luoghi sono detti “retirement areas” ovvero case di riposo o luoghi dove ci si ritira quando si é vecchi, e di lì a scambiarli per cimiteri il passo é breve.

Il famoso “Karamojo”Bell, seguì, una volta, un elefante che pareva vicino alla fine, per diversi giorni, e lo trovò disteso in mezzo alle ossa di altri elefanti, presso una pozza d’acqua. Eccitatissimo all’idea di aver finalmente trovato uno dei leggendari cimiteri, laddove esploratori e cacciatori avevano fallito per oltre 100 anni, si avvicinò di più alla pozza, ma solo per riceverne una grossa delusione: le ossa non erano solo di elefante, ma anche di altri animali, che erano morti avvelenati, probabilmente dagli imponenti depositi alcalini, oppure da qualche veleno volutamente immesso nell’acqua.

Due altri esploratori, alla ricerca di uno di questi cimiteri, seguirono un sentiero degli elefanti, una pista talmente larga e marcata da far pensare che fosse un’abituale via di transito verso un luogo misterioso. La pista li portò sulla riva di un fiume e le loro ricerche di tracce, a monte, a valle e sull’opposta sponda, non sortirono alcun risultato. Euforici, i due credettero di aver risolto il mistero: evidentemente gli elefanti andavano a morire nell’acqua e questa doveva essere la spiegazione del fatto che mai nessuno li aveva trovati, i cimiteri dei pachidermi erano dunque dei cimiteri subacquei. Ad illudere tutti coloro che, in seguito, dragarono corsi d’acqua, trovando, effettivamente, ossa e resti, fu il fatto che le piene spesso trascinano le ossa ad accumularsi in anse o contro vari ostacoli naturali. Per quanto riguarda una spiegazione logica circa la scomparsa delle tracce ricercate dai due sulla riva del fiume, occorre tenere presente che spesso gli elefanti camminano sul fondo, a volte facendo sporgere solo la proboscide, come uno snorkel, e possono percorrere, immersi, tragitti anche lunghi, giù per un fiume.

Gli elefanti, animali con una complessa vita sociale, hanno, d’altra parte, comportamenti spesso abbastanza misteriosi, che colpiscono l’immaginazione, e taluni di questi comportamenti hanno certamente contribuito alla leggenda dell’esistenza di luoghi sacri scelti per morirvi. Non solo, a volte, un elefante veglia un compagno caduto, scacciando iene ed avvoltoi, o cerca di farlo rialzare, ma non é affatto raro che prenda con la proboscide e sposti ossa, zanne o altre parti della carcassa, tanto che, per fare un esempio recente, le zanne che accoglievano i visitatori all’ingresso del campo di Olifant, nel Parco Kruger, dovettero essere sostituite con zanne finte, perché gli elefanti le portavano regolarmente via, costringendo i rangers a recuperarle in giro per il bush.

Lasciando da parte le leggende, per quanto affascinanti, quello che invece corrisponde a verità é il fatto che un elefante vecchio, che abbia perso il sesto set di molari, é destinato a morire per denutrizione, anche se non in pochi giorni, perché i molari vengono espulsi dalla bocca a frammenti un po’ alla volta. Può così accadere che, negli ultimi mesi, quando detti molari, ancora parzialmente presenti, sono fortemente usurati e meno efficienti, un vecchio esemplare sia attratto ancor di più dall’acqua, nelle cui vicinanze abbondano erbe e vegetazione più morbida e questo può spiegare il ritrovamento delle ossa di più esemplari anziani nello stesso luogo, tenendo conto che spesso i resti di individui morti a centinaia di metri l’uno dall’altro possono venir trascinati dall’acqua in un sifone, in un meandro o contro un ostacolo, in seguito lasciato asciutto dal ritirarsi della piena.

Aggiungerei una considerazione: quasi tutti gli animali selvatici, se non vengono colti dalla morte all’improvviso, tendono a cercare un luogo nascosto e riparato, lontano da insediamenti umani, spesso anche nell’acqua o nei suoi pressi, ed allora le loro spoglie possono essere trascinate via ed accumulate altrove, addirittura in mare, talvolta.

Ma mettiamo ora da parte, per un momento, lo scetticismo scientifico e l’arida realtà dei fatti: il fascino legato ai favolosi cimiteri degli elefanti fa parte integrante delle leggende del bush e, come tale, contribuisce all’incanto misterioso dell’Africa, continente dove spesso, come ebbi modo di constatare più volte, la realtà, la magia e la fantasia sono difficili da disgiungere tra loro con chirurgica precisione, utilizzando il bisturi della razionalità e della scienza ufficiale, che, d’altra parte, non riesce a spiegare ogni cosa. Anzi, mi spingerei a dire che talvolta l’eccesso di razionalità ad ogni costo, il voler spiegare tutto in termini scientifici, in un contesto come l’Africa, può assomigliare ad una profanazione, almeno per chi, come me, non ha spinto definitivamente in un angolo il ragazzino che alberga in ognuno di noi, un po’ come lo scoprire che Babbo Natale non esiste ruba tutta la magia del gran giorno ad un bambino, che, in quel preciso momento, perde il dono della fanciullezza per entrare nel mondo dei quasi-adulti.

 

Per quanto riguarda questo romanzo, ho utilizzato come ingredienti esperienze personali vissute nella boscaglia, incontri, a volte pacifici, altre burrascosi, con gli elefanti e con gli altri animali africani, chiacchierate intorno al fuoco con tracciatori e gente di diverse etnie, di cui mi piace sempre ascoltare le storie, nozioni sulla flora e sul suo utilizzo da parte delle genti del bush, oltre ai loro usi e costumi, poi ho messo tutti gli ingredienti in un frullatore e vi ho aggiunto un po’ di scatenata fantasia e così, come dice il mio tracciatore John Shangane, ”indaba iphumile”, é nata una storia.

Non ho la presunzione di credere che si tratti di un romanzo all’altezza di quelli scritti da veri scrittori, ma spero possa piacere a chi, come me, ama l’Africa e la vita libera e selvaggia che essa può ancora offrire, quella libertà e quell’avventura che il nostro civilizzatissimo mondo “occidentale” ci ha sottratto da tempo, nell’invadente e a volte non richiesto proposito di proteggerci da tutto e di rinchiuderci in un comodo e caldo bozzolo che, almeno per quanto mi riguarda, rimane una dorata prigione, ma pur sempre una prigione.

I luoghi, compreso Crook’s corner, le usanze tribali, le caratteristiche ed abitudini ed i comportamenti degli animali selvatici, le piante che compaiono nel romanzo sono, quindi, reali, mentre, ovviamente, la trama é di fantasia, e tuttavia plausibile. Mi sono preso la libertà di far incontrare fugacemente il protagonista, inventato, con una figura leggendaria realmente esistita, Bvekenya, tuttavia sono certo che il personaggio in oggetto avrà, nella sua lunga vita nel bush, offerto i suoi consigli ed il suo aiuto ad altri avventurosi come il giovane Piet, per cui sono certo che non me ne vorrà.

Alcuni personaggi famosi della saga del Kruger sono parimenti realmente esistiti, come Paulus Kruger, Stevenson Hamilton e Fraser, il ranger Wolhuter ed altri ancora, per il resto, come recita la formula di rito, ogni riferimento a persone esistenti é puramente casuale.

 

La storia di un elefante, divenuto leggenda per le popolazioni locali, e quella avventurosa e segnata da tragici eventi di un cacciatore di elefanti, diventato, poi, un ranger del Parco Kruger, si incrociano ripetutamente nel corso degli anni, in un turbine di avvenimenti che coinvolgono non solo le vite dei due principali protagonisti, uomo ed animale, ma la storia stessa di quel lembo di terra africana che ha come centro Crook’s corner, l’angolo dei fuorilegge, un triangolo di boscaglia delimitato dalla confluenza del fiume Luvuvhu nel Limpopo, ed il neonato Parco nazionale Kruger.

Seguendo la vita lunga e burrascosa di Udebe olubhoboziwe, Labbro forato, uno dei nomi assegnati dai locali all’elefante protagonista, chi legge avrà anche occasione di seguire, passo dopo passo, quella che é la vita di un elefante, nella sua complessità, dalla nascita alla morte, con i suoi normali aspetti biologici e quelli più insoliti, i suoi misteri, la variabilità del comportamento che, come in nessun altro animale e similmente a quanto accade nell’essere umano, viene profondamente influenzato da fattori esterni ed avvenimenti traumatizzanti, fino all’ultimo incontro con il protagonista-uomo, in un luogo remoto e segreto, ritenuto, dagli abitanti della boscaglia, uno dei leggendari cimiteri degli elefanti.

 

 

 

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NUOVE FOTO BLACK MAMBA

Agosto 2014. Ingwe

L'amico e collega Franco Corno, in breve visita da noi per tre giorni, mi confida che desidererebbe molto vedere un mamba nero, serpente che lo affascina. Gli rispondo che é ben difficile sperare in tale incontro in così poco tempo, ma ci sono persone che, evidentemente, hanno fortuna.

Il secondo giorno un grosso mamba ci attraversa la pista (Foto 1) e si va ad infilare nel bush fitto a lato di essa. Individuatolo, ci infiliamo anche noi tra la ramaglia e riesco a bloccare temporaneamente la parte mediana del rettile a terra, in modo da consentire una serie di foto a distanza molto ravvicinata. 

Epilogo molto movimentato quando il mamba riesce a liberarsi......

 

Nuova specie di serpente velenoso scoperta in Mozambico. Ma é poi vero?

La notizia che una nuova specie di serpente velenoso é stata recentemente scoperta nel mozambico settentrionale ( provincia di Nampula) mi pare solo parzialmente esatta. Il rettile di cui si parla é una sottospecie di Thelotornis, colubridi detti Twig snakes o serpenti ramoscello, e precisamente Thelotornis usambaricus, ma in realtà tale specie era già nota e segnalata in Tanzania e (forse) Kenya, e la scoperta risiede più nella nuova localizzazione che non nella specie in se stessa. Per maggiori notizie su questi colubridi dal veleno emorragizzante, potete dare un'occhiata alla sezione Serpenti pericolosi, in questo stesso sito.

Thelotornis capensis a Ingwe
Thelotornis capensis a Ingwe

I telotorniti appartengono ai colubridi (come le nostre bisce e molti altri serpenti innocui), ma forse non tutti sanno che molti colubridi possiedono un apparato velenifero, anche se la stragrande maggioranza delle specie con tale arma sono innocui per l'essere umano. Vi sono, quindi, colubridi aglifi, cioé privi di denti atti ad inoculare tossine ( come la nostra natrice dal collare)  e colubridi opistoglifi, che hanno apparato velenifero, come il colubro lacertino (Malpolon monspessulanus), presente anche in Liguria, che hanno ghiandole velenifere e denti atti ad inoculare una saliva modificata e contenente tossine. Tuttavia l'apparato di inoculazione di tipo opistoglifo é il più rudimentale, nel mondo dei serpenti velenosi, con zanne poste posteriormente e non cave come aghi da iniezione. Il veleno viene fatto "colare" nella ferita, mentre l'animale mantiene la presa sulla preda ( o sul disurbatore) e "mastica" per favorire l'ingresso del veleno nella ferita. Come dicevo, sebbene la maggior parte delle specie sia innocua o quasi per l'uomo, alcuni colubridi, come i telotorniti ed il boomslang ( vedi sezione serpenti) possiedono veleno estremamente potente e letale per l'uomo, che causa emorragie imponenti.

Thelotornis capensis a Ingwe
Thelotornis capensis a Ingwe

Serpenti velenosi. Nuove possibili utili applicazioni del veleno dei mamba

 

Il veleno dei mamba é stato utile per comprendere alcuni meccanismi della fisiologia del sistema nervoso, ma una nuova frontiera potrebbe aprirsi con la scoperta che alcune frazioni del veleno anziché agire solo sull'apparato motorio, possono avere un'azione (utile) sul sistema "sensitivo". I veleni neurotossici dei serpenti possono agire a tre livelli sulla placca motrice, quella che fa da interfaccia tra sistema nervoso e muscolare, tramite la liberazione di mediatori chimici (es. acetilcolina). Alcuni, come le bungarotossine dei bungari dell'Asia agiscono a livello presinaptico, impedendo la liberazione di mediatori chimici, altri ( come i veleni di diversi elapidi australiani, tra cui il common taipan) a livello post-sinaptico, impedendo ai mediatori liberati di fissarsi ai recettori muscolari, infine,  le denrotossine dei mamba  agiscono a livello dei nodi di Ranvier,  bloccando i canali del sodio dei motoneuroni: in pratica il muscolo riceve l'ordine di contrarsi ma si ha una contrattura prolungata che ha come risultato una paralisi.Ora, pare che alcuni scienziati abbiano dimostrato che alcune proteine del veleno dei mamba ( i veleni sono di solito cocktails di proteine diverse) dette mambalgine, bloccando i canali ionici dei recettori del dolore (nocicettori), inducano un effetto analgesico potente. In sperimentazioni sui topi ( e mi piacerebbe vedere le reazioni di certi "antivivisezionisti", che forse non hanno ancora capito che la sperimentazione animale può servire a salvare vite e ad alleviare i dolori da malattia) si é visto che l'effetto analgesico sarebbe molto rapido e potente, come quello della morfina. Con una differenza: a differenza degli oppiacei non causerebbe assuefazione né dipendenza.

Serpenti velenosi: scoperta nuova specie di serpente marino velenoso (elapide)

L'unico serpente marino (elapidi) presente in Africa é la spegie pelagica (d'alto mare) detta serpente a ventre giallo (Pelamis platurus), che raggiunge le coste orientali del continente. La nuova specie, scoperta nel 2000 ma descritta accuratamente nel 2012 é l'idrofide di Donald (dal nome dello scopritore) detto anche Spiny sea snake o Spiny sea krait, per le squame rilevate e simili a minuscole spine. Non ha a che vedere con l'Africa, ma ritengo  la scoperta di nuove specie di una certa dimensione sia interessante da riportare. Ha livrea "fasciata" ed é stato rinvenuto solo nel Golfo di Carpentaria (pochi esemplari in 10 anni).

Nuova specie di primate africano.

Le foreste pluviali (africane e non) sono una continua miniera di scoperte scientifiche che rendono la criptozoologia una scienza anziché, come alcuni sostengono, fantascienza. Più spesso vengono scoperte specie di piccole dimensioni (insetti, batraci ecc) ma talvolta anche animali di mole maggiore. Individuata nel 2007 ma descritta solo nel 2012, la Lesula e o cercopiteco del fiume Lomami (cercopithecus lomamiensis) é un primate del peso di 4-8 Kg, con pelo di colore variabile dal grigio, al marrone ad uno strano colore rosato. Il "viso", visto di fronte ricorda vagamente la nasica del Borneo, perché il naso,anche se non così prominente, é allungato. Gli occhi, grendi, le conferiscono un aspetto che ricorda l'allocco. Vive nella foresta pluviale del bacino del Lomami (Congo), in una enclave posta ad Oves di Kindu e circondata dall'ampia curva che il fiume Congo compie nel cambiare la sua direzione daSud-Nord ad Est-Ovest.

A BREVE UN NUOVO SITO.....Lo comunicherò non appena pronto.