Piante velenose e piante utili

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Le piante del bush possono rappresentare una risorsa importante, una provvista di cibo e acqua, oppure un pericolo mortale.

 

Piante velenose

 

Non sono solo una minaccia, in alcuni casi la loro conoscenza può risultare preziosa

Solo per fare un esempio, la semplice conoscenza di alcune piante, inconfondibili anche per un novizio, una volta che le abbia viste, come le euforbie o piante candelabro, può salvare la vita (come è accaduto) a chi si sia perso in una zona disabitata, senza mezzi di sussistenza.

Esistono vari tipi di euforbia, ma la più nota è senza dubbio l’euforbia candelabro o  E .ingens (candelabra tree, in Inglese, o Naboom, in Afrikaans), presente in gran parte dell’Africa. La sua forma è inconfondibile, ed anche altre specie come l’Euforbia del Transvaal o E.cooperi), l’Euforbia dei Soutpansberg e quella detta gommifera (rubber euforbia) sono agevolmente riconoscibili per i loro rami ...a salsicciotti. Tutte queste piante, se incise, secernono un abbondante lattice bianco e denso (se le incidete con un coltello, fate attenzione ad eventuali schizzi nell’occhio ed anche a non farlo arrivare a contatto con la pelle). Tale lattice è altamente velenoso ed irritante, contenendo diterpenoidi. Il contatto con la cute causa dolore ed infiammazioni anche gravi, con formazione di vesciche e, nell’occhio, lesioni gravissime e possibile cecità. E’ usato per trattare le frecce, ma solitamente in aggiunta ad altri veleni (ad esempio veleni di serpente, la cui efficacia ai fini venatori é abbastanza discutibile, a causa dei tempi di latenza tra somministrazione e comparsa degli effetti), tuttavia il suo uso più caratteristico è per pescare.

Ovviamente non è una cosa da provare o da fare per gioco, altrimenti si entra nella categoria dei bracconieri anziché in quella onorata dei pescatori e dei cacciatori, tuttavia, se si è alla fame, senza canne da pesca e senza armi, un fascio d’erba o uno straccio imbevuto di tale lattice causa stordimento e morte dei pesci di una pozza, che verranno a galla e potranno essere recuperati e mangiati.

Per le frecce, in Africa vengono soprattutto usati veleni vegetali (se si eccettua il veleno che i San ricavano da un insetto della famiglia delle blister beatles), e spesso piante contenenti glicosidi cardioattivi.

Già tre secoli prima di Cristo, Teofrasto descrisse l’uso di veleni per freccia da parte degli Etiopi, così come fecero, più tardi, nel sedicesimo secolo, esploratori e navigatori portoghesi, lungo le coste orientali dell’Africa. Più tardi ancora, l’esploratore Burton, durante una spedizione in Abissinia, di cui parla nel libro “First footstep in East Africa”, descrisse l’uso di un potente veleno chiamato wabayo, utilizzato dai Somali. Tale veleno era ottenuto da una pianta detta wabi o wabo le cui radici venivano fatte bollire in acqua fino ad ottenere uno sciroppo denso e concentrato e provocava la morte di una grossa antilope in un’ora, causando anche caduta del pelo, il che fa pensare che avesse anche proprietà irritanti.

Von Hohnel, in una spedizione verso il Lago Rodolfo, descrisse una pianta l'Acokanthera schimperi, nel Somaliland del Nord, una zona montagnosa. Si tratta di una pianta bassa,  al massimo 180 cm., dal fusto spesso e dai rami nudi, con chioma fitta e verde, a cono, talmente fitto da parere un solido, foglie simili all’ edera e fiori piccoli, bianchi o rosa, di  buon odore. Sia i Wakikuyu che i Wandarobo, oltre ai Somali, ne usavano la linfa per le loro frecce. I nativi e i membri delle carovane evitavano persino di annusarne i fiori, il cui odore è, in realtà, innocuo.

Le piante del genere Acokanthera sono forse quelle che forniscono i veleni più potenti e sono diffuse, con specie diverse, in tutta l’Africa e non solo.

A Ingwe è comunissima, così come in Zimbabwe e Mozambico, la varietà Acokanthera oppositifolia, detta Bushmen poison bush  (da non confondere con il Bushmen poison bulb di cui parlerò in seguito, altra interessantissima pianta).

E’ una pianta bassa (al massimo.5 m.), ma più spesso un arbusto, molto attraente e decorativo, che vive sia in zone rocciose che di foresta. Le foglie sono caratteristiche, disposte a croce, lanceolate e lisce, solitamente di colore verde scuro superiormente, mentre sotto sono più chiare e spesso rossastre, terminanti con una spina all’apice. Le foglie giovani sono decisamente rosse, ed i fiori, bianchi o rosati, hanno un profumo dolce ed intenso che richiama le api (il miele delle api selvatiche che utilizzano i fiori di alcune piante velenose del bush è tossico e questa è un’altra nozione da avere bene in mente).

Tutte le parti sono altamente velenose, con la possibile eccezione dei frutti maturi (che sconsiglierei comunque a chiunque di provare).

Gli amaZulu e altre popolazioni credono che gli esemplari più velenosi e quindi più adatti alle frecce siano quelli che crescono isolati da altre piante, le quali non potrebbero crescere vicino ad un coinquilino così tossico, tuttavia si tratta solo di una credenza priva di fondamento.

La preparazione cui ho avuto il privilegio (privilegio è la parola giusta, perchè solitamente si tratta quasi di una cerimonia avvolta nel segreto) di assistere è la seguente: il fusto viene spogliato delle foglie e poi affettato o tagliato a pezzi, che vengono posti in un contenitore, coperti d’acqua e bolliti per sette od otto ore. Alla fine rimane sul fondo una specie di colla, o meglio, di mastice nero, dopo di che i rimasugli legnosi vengono tolti e poi si fa evaporare ancora il tutto per aumentarne la densità.

Certi izangoma aggiungono anche  le foglie e le radici.

In realtà, a dispetto dei complessi cerimoniali che ruotano attorno alla preparazione di questo tipo di veleno  da caccia, con aggiunta di ingredienti spesso ininfluenti ai fini degli effetti e con propiziazione degli amathongo, gli spiriti degli antenati, detta preparazione è piuttosto semplice ed anche un.....naufrago del bush, costretto a cacciare per sopravvivere, potrebbe utilizzarlo

Lessi, in uno sgualcito, vecchio libro dei primi del ‘900, acquistato su una bancarella del mercato delle pulci di Pretoria, di un gruppo di Boeri appartenenti ad un Kommand, durante la guerra anglo-boera. Questo manipolo di combattenti operava dietro le linee inglesi, in segreto, e si trovò isolato e tagliato fuori, senza la possibilità di rientrare. Esaurite le provviste, non potendo utilizzare le poche munizioni rimaste, sia per la necessità di non farsi scoprire, sia in vista di un eventuale difesa dal nemico, gli uomini dovettero arrangiarsi con ciò che il veld offriva loro.

Il bush era avaro, evidentemente, dato che si era nella stagione secca, ed i frutti commestibili, come il moepel, il milkplum, il mountain karree non erano maturi, tanto che alcuni morirono avvelenati dopo aver mangiato i semi delle Cicadi, piante antichissime, simili a palme, che portano un enorme casco di semi, in forma di gigantesco ananas. La caccia con trappole era la sola fonte possibile di cibo, a parte foglie e radici. Ebbene, questi uomini utilizzarono il veleno del bushmen poison bush ed archi di fortuna per cacciare, e con successo.

I veleni da caccia vengono conservati in strisce di corteccia ricavate dai banani, oppure in pannocchie di mais opportunamente svuotate, o ancora in corna di antilopi, in vasetti  o in altri contenitori, ed il veleno rimane potente per lungo tempo, se protetto dal sole e dall'umidità. I veleni più duraturi vengono detti isihlungu esishalayo njalo (veleno eterno).

Viene, all’occorrenza,  spalmato sulla lama di freccia, che è protetta da un cappuccio in pelle o in fibra vegetale, oppure un blocchetto di legno in cui sia stato aperta una fessura, e questo sia allo scopo di preservare il veleno che la pelle del cacciatore, dal momento che una ferita accidentale può avere effetti letali.

Più la punta è scabra, più il veleno aderisce, e quando vengono utilizzati aculei di istrice, in essi  vengono praticati alcuni forellini che trattengono la tossina. .

Come dicevo, un gran segreto e complesse cerimonie avvolgono la  preparazione dei veleni, ma questo solo presso alcune tribù.

In queste solo alcuni membri (che si tramandano questa scienza di generazione in generazione) possono prepararlo. Chi fa questo mestiere, ha una vita agiata assicurata ed è tenuto in gran considerazione, e questo fatto è legato, come abbiamo visto, non ad una complessità del procedimento quanto ad una serie di tabù che vietano ad una persona non “iniziata” di dedicarsi a tale pratica. Vero è che qualcuno è sicuramente più bravo ed esperto di altri in tale mestiere ed un veleno di alta qualità spinge i cacciatori a viaggiare per giorni e giorni per andarlo a comprare. Una punta di freccia può veicolare fino a 5 grammi di veleno, sufficienti ad uccidere forse un centinaio di persone.

Altre specie di Acocanthera sono alte anche 15 m. come la A.oblongifolia o dune poison bush, che vive sulle dune costiere della costa Sudafricana, sull'oceano indiano. Questo vegetale viene usato dagli Zulu anche per eliminare i cani randagi, pericolosi per il bestiame e spesso portatori di rabbia:  un estratto di radici é utilizzato per confezionare esche avvelenate.

Mi sono dilungato un po’ a descrivere questa famiglia di piante non per fare un trattato di botanica ma perchè è utile da conoscere, anche per chi non voglia fare il bushman, ma semplicemente si trovi a cucinare qualcosa su di un fuoco, nella wilderness: questa è una delle cose da sapere assolutamente, una questione non di cultura ma di sopravvivenza. Vi sono stati, pare, casi mortali di avvelenamento per cibi cucinati su di un fuoco in cui si bruciava, come combustibile, tale pianta, così come accade anche con il Tamboti, di cui parlerò in seguito, e se anche il risultato non é la morte, un'intossicazione é sempre possibile. Si tratta di vegetali da conoscere e da non usare mai per il fuoco, neppure per scaldarsi.

Non tutti i gruppi etnici preparano veleni. Ad esempio, i Masai non lo fanno, tuttavia acquistano tali sostanze, col sistema del baratto, da tribù che le preparano; i Wandorobo, i Wakamba, i Wasanye. Certe tribu Zulu, a loro volta, non lo preparano, altre si, e il padre di John , che è un isangoma, o meglio un inyanga (erbolario)  Shangane, lo prepara e lo vende.

La potenza del veleno di Acoanthera sull’ uomo varia a seconda della preparazione, della freschezza o meno del veleno, dello stato di conservazione, ma in media uccide un uomo in meno di 1 ora, e, se veramente fresco o concentrato, anche in 15 minuti, per cui l’attenzione che i cacciatori pongono nel maneggiare le punte è maniacale.

Curioso a dirsi, tra le diverse specie animali, la suscettibilità al veleno varia enormemente, e non sempre in sola funzione della stazza.

I selvatici più resistenti sono le zebre ed i facoceri, seguiti dal rinoceronte, mentre i più sensibili sono l’elefante, il bufalo, l’orice, l’eland ed il potamocero (strana, tra l’altro, questa differente suscettibilità di due appartenenti alla stessa famiglia dei suidi.).

In Tanzania ho sentito dire il contrario, per ciò che riguarda elefante e bufalo, e così in RCA, dove tuttavia so che molto spesso usano frecce con punta di legno indurito e piccoli archi poco potenti, per cui credo che sia solo questione di insufficiente penetrazione nella pelle di animali di grosse dimensioni. .

Alcuni fabbricanti di veleno aggiungono, durante la bollitura, serpenti, lucertole o toporagni, oppure interiora o teste di puffadder o di altri serpenti velenosi, ma questo non ne migliora certamente l’efficacia, se mai si tratta di  riti e credenze tribali.

Invece, l’aggiunta di veleni di serpente ha una certa efficacia, ma tale pratica non è molto diffusa, in Africa, sia per il timore che molti neri hanno dei serpenti, sia per la difficoltà a “mungere” un rettile velenoso .Per sovrammercato, pochi sono i serpenti velenosi “adatti” a trattare una freccia. Il veleno dei serpenti viene iniettato sotto pressione, in una certa quantità,  come da una siringa, ed il semplice spalmare una lama con un po’ di veleno non assicura dosi sufficienti, con l’eccezione di alcuni elepidi come il mamba ed il cobra del Capo (naja nivea), che possiedono un veleno neurotossico letale per un uomo in dose di soli 10-12 milligrammi. Tuttavia mungere un mamba è un passatempo che neppure il più incallito isangoma prende in considerazione, mentre alcuni gruppi di Boscimani usano il veleno del Cape cobra, meno difficile da catturare, anche se aggressivo e letale .Certe tribù di pigmei pare utilizzino l’abbondantissimo veleno delle gigantesche vipere del Gabon, ma sempre in associazione con principi vegetali. La vipera del Gabon ha un’indole meno iraconda della vipera soffiante e, seppure sia una pratica pericolosa, abbastanza facile da catturare Inoltre i veleni delle piante sono molto più a portata di mano e molto meno pericolosi da ottenere.

A volte la potenza del veleno viene testata con vari sistemi empirici. Uno di essi consiste nell’applicarne una .goccia su una spina di acacia e poi pungere una lucertola o una rana: generalmente, se il preparato è “buono”, la...cavia fa pochi passi (o salti) e poi passa a miglior vita.

Sul campo di caccia, in media un'antilope non fa più di 300 metri, mentre un elefante può resistere anche due giorni ( il fatto che sia molto sensibile non toglie che la sua mole sia enorme), ma spesso soccombe prima, perchè colpito da più frecce.

La carne della preda è commestibile, ma di solito quella immediatamente attorno alla ferita viene rimossa, la punta recuperata e riutilizzata.

Poiché le ferite accidentali non sono rare, vengono preparati, dagli stregoni, antidoti e rimedi,  come  la pianta Kikuru (Fadogia), di cui vengono utilizzate le radici, o carbone di Agauria salicifolia, ma credo che funzionino ben poco.

Un antidoto di una certa efficacia potrebbe essere invece la stricnina, che veniva fornita alle truppe governative durante alcune ribellioni, come quella dei Nandi del 1905, che usavano dardi avvelenati  contro i soldati. In realtà, la precauzione più frequentemente utilizzata dai cacciatori è quella di spalmare il veleno solo sulla parte piatta della lama, evitando i taglienti: in tal modo, la freccia cede la tossina solo quando penetra nelle carni e non per un semplice taglio accidentale causato dal filo della lama stessa.

Un secondo gruppo di vegetali utilizzati sono le Apocyanee (Strofanto).

Le varie specie di Strofanto hanno generalmente foglie e semi velenosi, che contengono glicosidi cardioattivi ( che agiscono sul cuore) come le precedenti.

Una delle prime il cui uso fu descritto è lo strophantus eminii, cosi chiamata in onore di Emin Pasha. Chi descrisse la preparazione di questo veleno dice che venivano bollite radici di bungo-bungo  e mwelle-mwelle, con teste di serpe, lucertole ed ingredienti vari. Il mwelle-mwelle altro non è che lo strophantus eminii ed il bungo-bungo (nulla a che fare con le escort), é forse, il murungurungu (Fagara).

Il veleno per frecce a base di strofantina ha nomi diversi presso le varie tribu. I Masai lo chiamano esaiyet Ol-morijoi, i wakikuyu Murishu, i Kamba Ibai, gli amaZulu semplicemente isihlungu ngomcibisholo (isihlungu, che si legge” isisciuungu”, significa veleno, “nga” significa “per” mentre “umcibisholo” è la freccia) ma tale nome si applica anche a veleni diversi, tra le popolazioni N'guni .

Dello strofanto vengono usati soprattutto i semi, e spesso l'estratto di semi è unito ad altra pianta,  l'Adenium.

Nell'Africa Australe, anche se l’Acokanthera (bushmen poion bush) è la più usata, seguita da altre piante (Bushmen poison bulb,  impala lily, coral tree ecc.), lo strofanto, specie nel Mozambico e ancor più nella zona del lago Nyassa, é un best seller. Anche i San lo conoscono e lo usano, anche se non è il loro veleno preferito. A questo proposito è interessante notare che anche in Tanzania c'è una popolazione nomade ( ne rimangono pochi, ormai) fisicamente simile ai San, che parla una  lingua “clicckata” e che vive di caccia con arco e frecce avvelenate, i Watindega.

Altre piante utilizzate sono quelle appartenenti alla famiglia Urginea, di cui viene utilizzata la radice a tubero, schiacciata tra due pietre o in mortai di legno. Se ne ricava una sostanza fibrosa che fornisce una pasta con cui spalmare le punte di freccia. Tale pianta viene usata solo in Tanzania, Zambia e nella regione del lago Nyassa, nel nord del Mozambico e nella zona di Tunduri e del delta del Rufiji.

Alle euforbie abbiamo già accennato, tuttavia vorrei citare ancora il tamboti, un’euforbiacea che non assomiglia per nulla ai candelabra tree.

Si tratta di una pianta notevole, di media altezza, che si trova di solito nelle pianure, spesso lungo corsi d'acqua, con una chioma arrotondata, corteccia grigio-scuro o nerastra, che forma scaglie rettangolari. Le foglie sono alternate, ovali o ellittiche ed i frutti sono caratteristiche capsule trilobate. Come le classiche euforbie candelabro ha un lattice denso, estremamente irritante e velenosissimo, che viene usato per  pescare, però, a differenza di quello delle euforbie, è impiegato estensivamente anche per  le frecce.

L'ho visto usare contro il mal di denti: messo nelle camera della polpa, aperta da una lesione cariosa, agisce, probabilmente, come l'arsenico, devitalizzando il dente, ed  ho inserito questo fatto, cui ho assistito e che mi ha colpito, nel mio romanzo, “Dendroaspis, una pericolosa avventura”,  pubblicato recentemente.

Il legno di questo albero è duro e pregiato, inattaccabile alle termiti e quindi usato per farne pali per recinzioni, tetti e via dicendo, ed è quasi indistruttibile, tanto che, nelle rovine della Grande Zimbabwe, hanno trovato manufatti che la datazione col metodo del carbonio fa risalire a 500 anni fa, ma occorre fare attenzione, nel segarlo, che la polvere non vada negli occhi, e non bisogna mai utilizzarlo come combustibile. Una cosa curiosa: questa pianta è detta anche “pianta dei semi saltanti” perchè le capsule, cadute, sono infestate dalle larve di una falena che, con scatti dell’addome, fanno saltellare il seme in cui sono alloggiate.

L’Adenium  o impala lily  è una pianta grassa, alta fino a 3 m., tipica di zone aride, dal tronco grigio e liscio, senza spine. Il tronco contiene una linfa acquosa. I fiori sono bellissimi, simili a gigli bianchi o rosati, con il bordo dei petali di un rosso vivo. La pianta è velenosa ed usata per le frecce, ma con aggiunta di altri veleni (serpente ecc.) Una varietà dell'Angola pare essere invece ben più potente ed usata anche da sola a fini venatori.

Il bushmen poison bulb (Boophane dysticha) è un’attrattiva pianta, comunissima anche ad Ingwe, con una radice a bulbo che solitamente sporge, nella sua parte superiore, dal terreno, coronata da un ventaglio di foglie oblunghe, molto elegante. Il fiore, attraente e dall’intenso profumo, attira api ed altri insetti. Se ne ricava un veleno che viene usato per la caccia, solitamente  mescolato ad altre tossine, ma ha anche usi medicinali ed il figlio di un mio amico, che venne da me a Ingwe, ne fece la sua tesi di laurea in farmacologia. Viene usato nella medicina tradizionale anche per curare ferite e piaghe infette, per le sue proprietà astringenti, caustiche e cicatrizzanti, e la recente, sensazionale scoperta di una mummia di  Boscimane, trattato e mummificato ben 2000 anni fa, con le scaglie del bulbo di questa pianta, ne dimostra l’importanza nelle tradizioni di alcuni popoli africani.